Chi è lo psichiatra?

Il sonno della ragione genera mostri

Francisco Goya

Frequentemente si sentono persone che non conoscono bene, temono, oppure non sanno “a cosa serve” questa “paurosa” e “misteriosa” figura professionale; è un’entità quasi astratta  che spesso spaventa, che erroneamente viene associata al trattamento dei pazzi, alla contenzione, al retaggio culturale e cinematografico che di sovente, (anche se non bisogna generalizzare) ne ha dato un’immagine distorta o perlomeno non aggiornata. Molti pensano che lo psichiatra riduca i propri pazienti a “zombi”, che prescriva o anzi sovraprescriva solo farmaci per i “matti”. Forse la maggior parte della gente è terrorizzata dalle malattie mentali, perché non le conosce! Per comprendere meglio chi è lo psichiatra, verosimilmente, è importante riassumerne la professione dal punto di partenza ai tempi odierni.

Le origini della psichiatria risalgono al diciottesimo secolo, sebbene già nell’era dell’antica Grecia si rinvengono medici singoli che hanno curato le malattie mentali scrivendo anche manuali su tale argomento; tuttavia sino a tempi relativamente “recenti”, in relazione alla storia dell’essere umano, la psichiatria non esisteva come disciplina alla quale un gruppo di medici si dedicasse con un comune senso di identità.

Gli ospizi per malati mentali esistono sin dai tempi del Medioevo, si ricorda il Convento di St. May of Bethlem, fondato nel tredicesimo secolo, di cui nel 1547 la Città di Londra ottenne la custodia; nel 1656 invece Luigi XIV fondò due ospizi parigini per i malati, i criminali, i barboni ed i pazienti psichiatrici: il Bicêtre per gli uomini e il Salpêtrière per le donne; non si trattava di veri ospedali per malattie nervose, ma di semplici istituti di custodia che non avevano alcuna pretesa terapeutica. Alla fine del diciottesimo secolo mutò il giudizio su tali Istituti, si ritenne che avrebbero potuto svolgere una funzione terapeutica e che l’internamento avrebbe potuto migliorare le condizioni del paziente anziché meramente liberare una famiglia infastidita dalla sua presenza. Fu Philippe Pinel, psichiatra parigino, alla fine del diciannovesimo secolo a giungere alla conclusione che nell’ospedale psichiatrico si poteva eseguire una terapia psicologica, impiegando in modo terapeutico l’esperienza dell’ospedalizzazione. Affermava: “ la speranza di restituire alla società soggetti che sembrano incurabili è ben giustificata. E’ necessario che volgiamo la nostra più assidua e instancabile attenzione a quel folto gruppo di pazienti psichiatrici che sono in convalescenza o sono lucidi negli intervalli tra le crisi; un gruppo che deve essere ospitato in un reparto separato dall’ospizio…e deve essere sottoposto ad una sorta di trattamento psicologico per sviluppare e rafforzare le facoltà intellettive…”.

“La nascita dell’ospedale psichiatrico è una storia di buone intenzioni non realizzate” poiché lo scopo dei primi psichiatri non è riuscito ad avverarsi.

Verso la metà del ventesimo secolo si affacciano, con sempre maggior peso e rilievo le teorie di Freud, che nascono dall’idea che i problemi psicologici siano imputabili a conflitti interiori, intrapsichici, relativi ad eventi e traumi del passato, in particolar modo di natura sessuale: con Freud nasce dunque la psicoanalisi.

La psichiatria risulta quindi, da sempre, un po’ “combattuta” tra le due visioni della malattia mentale: una visione più biologica dedita alle anomalie neurofisiologiche, biochimiche, genetiche dello sviluppo cerebrale ed una visione più psicogena, in cui prevalgono la salienza dell’aspetto sociale, degli eventi di vita stressanti, dei problemi familiari, delle relazioni interpersonali o della presenza di conflitti interiori inconsci non risolti. A ciascun aspetto viene data, a seconda dell’orientamento ideologico, prevalente importanza nello sviluppo del disagio mentale, connotando, in tempi moderni, differenti approcci psicoterapici.

Ma la domanda chiave che molti si pongono è: chi è lo psichiatra? Cosa fa? A cosa serve? Tanti, troppi timori e retaggi culturali errati, imposti da gravi errori della storia della psichiatria stessa, oltre che dalle immagini che i mass-media ci trasmettono, dall’avvento della televisione e del cinema in poi non hanno contribuito a chiarire questa “immagine oscura” bensì a renderla, se possibile, ancora più confusa e spaventosa, imbarazzante e terrificante. Nell’immaginario collettivo, spesso, purtroppo ancora oggi recarsi dallo psichiatra è sinonimo di pazzia, di incurabilità, di cronicità, di sospettosità e di vergogna: in una parola uno stigma!

In realtà lo psichiatra “contemporaneo” nasce come laureato alla facoltà di medicina e poi, per inclinazione dell’animo e predisposizione personale, sceglie la specializzazione in psichiatria. Lo psichiatra è anche abilitato, previa richiesta formale, ad esercitare la psicoterapia e a potersi iscrivere all’albo degli psicoterapeuti (quindi all’interno di tale categoria esistono psichiatri che hanno anche questo titolo e questa competenza con cui lavorare sul paziente).

Lo psichiatra è dunque colui che durante una visita deve raccogliere accuratamente la storia del paziente, approfondire i sintomi che lo stesso lamenta e formulare una diagnosi, impostando una conseguente terapia farmacologica. Tuttavia trovo che la forma più completa di psichiatra sia colui che non sia orientato solo in senso biologico e farmacologico ma abbia anche una formazione e una competenza psicoterapeutica che gli consentano di comprendere a fondo il paziente, la sua personalità, il suo temperamento. Egli deve cercare inoltre di individuare le risorse interiori e le capacità, le qualità e le ricchezze più intime di ciascuno per poter non solo rappresentare un punto di riferimento e di appoggio per ciò che concerne la sintomatologia, il trattamento e la prognosi delle patologie psichiche ma possa fornire anche consigli, suggerimenti, delucidazioni, spiegazioni ed eventualmente indicazioni, in funzione di un quadro completo che si è formato in merito, su quale sia il miglior orientamento psicoterapico da affiancare parallelamente alla terapia farmacologica (quando ritenuto opportuno). In questo frangente, sento di non discriminare nessuno (mettendo anche me stessa, per “par condicio”, in mezzo alla categoria degli “accusati”): sarebbe utile essere disponibili ad adottare un minimo di umiltà, scendendo dal “piedistallo dell’onnipotenza” cui (anche involontariamente) capita talvolta di salire  per capire che la propria scuola di pensiero psicoterapico non sempre è la migliore per il paziente che ci troviamo di fronte. In tal caso è necessario fare un passo indietro e inviare il paziente a colleghi psicoterapeuti (psichiatri o psicologi) competenti in ideologie differenti dalla propria con cui mantenere un lavoro di équipe, compartecipando e interagendo passo passo, per il conseguimento degli obiettivi relativi al benessere del paziente.

Ritengo che avere equilibrio, nel nostro mestiere, significhi anteporre il benessere del paziente ai propri interessi e alle proprie convinzioni, talora, inamovibili più per propria rigidità che non per dedizione al proprio lavoro!

“La domanda che a volte mi lascia confuso è: sono pazzo io o sono pazzi gli altri?”                                                                                                                                                                 Albert Einstein 

Dott.ssa Désiréé Harnic

MEDICO CHIRURGO

SPECIALISTA IN PSICHIATRIA

PSICOTERAPEUTA

Bibliografia

Storia della psichiatria (dall’ospedale psichiatrico al Prozac), Edword Shorter, Masson editore, 2000, pp. 1, 5,7, 31, 141.

Sulla vita di Luxenburger vedi T.Haenel, Zur Geschichte der Psichiatrie: Gedanken zue allgemeinen un Basler Psychiatriegeschichte (Basilea: Birkhauser, 1982), pp 167-168.

The Introduction of Chlorpromazine to North America“, H. Lehmann, Psichiatric Journal of the University of Ottawa, 1989, pp. 263