Durante l’incontro di intervisione, tenutosi venerdì 7 Giugno presso il centro Klinikos – Psicodiagnosi e Psicoterapia, un gruppo di psicologi e psicoterapeuti di diverso orientamento si è confrontato sul caso di Giorgia (nome di fantasia), una donna di circa 40 anni che ha richiesto sostegno psicologico per essere supportata nell’affrontare la malattia del marito Marco (nome di fantasia) anche lui molto giovane e affetto da una patologia neurodegenerativa.
Giorgia è una donna affascinante, madre, lavoratrice e, ad oggi, ha interamente su di sé il carico della famiglia.
Circa 10 anni fa, infatti, a Marco è stata diagnosticata una rara patologia neurodegenerativa, genetica, caratterizzata dalla perdita progressiva della capacità di coordinazione motoria e deterioramento cognitivo.
Nel contesto delle patologie neurodegenerative, non è raro che i familiari richiedano un aiuto per comprendere la malattia del proprio caro e supporto psicologico per imparare a gestire il forte carico emotivo che questa comporta.
Proprio la necessità di ricevere maggiori informazioni sulla malattia è stata ciò che ha spinto Giorgia a mettersi in contatto con un professionista della salute mentale. Con il tempo il focus degli incontri (a frequenza variabile) si è spostato dalla psicoeducazione alla richiesta di aiuto per prendere consapevolezza del problema e accettare l’adattamento continuo che la progressività della malattia richiede. Giorgia, infatti, lamentava mancanza di aiuto da parte del contesto sociale e senso di solitudine nell’affrontare la malattia del marito.
A partire da questa iniziale richiesta di sostegno, Giorgia ha iniziato lavorare su se stessa, sul rapporto con Marco e con la famiglia di origine.
Grazie al percorso con la psicologa sono emersi l’ambivalenza e il conflitto interno vissuti da Giorgia tra l’amore per il marito, il senso del dovere nel restargli accanto e il desiderio di una vita diversa. Giorgia infatti lamenta confusione, manifesta (seppur non esplicitamente) una certa sofferenza per il fatto che lei debba essere sempre “indispensabile” mentre Marco non può e non potrà più rappresentare per lei quello che era prima. Giorgia non è più moglie, amante e complice dell’uomo con cui ha scelto di trascorrere la propria vita, ma ha assunto un nuovo ruolo, quello di caregiver, ossia “colei che si prende cura”, accudisce e assiste il compagno ammalato.
Gli effetti del careving possono essere molto pesanti per la persona, portando a livelli di stress tanto elevanti da determinare anche una sindrome da burnout. Per questo il lavoro svolto ha cercato di guidare il più possibile Giorgia verso l’accettazione della fatica che tale ruolo determina, la normalizzazione delle sue difficoltà e la necessità di prendersi cura anche di se stessa.
Un momento di svolta importante nel percorso è arrivato proprio quando Giorgia è riuscita ad ammettere quanto il caregiving rappresentasse un peso per lei e ad esprimere la sua sofferenza per una vita diversa da quella desiderata. Partendo da questa presa di consapevolezza, e grazie al costante supporto psicologico, Giorgia è riuscita progressivamente a cogliere l’importanza di ritagliarsi alcuni momenti per sé (ad esempio tornando a casa qualche minuto più tardi dal supermercato o concedendosi un aperitivo con le amiche di tanto in tanto) per ritrovare se stessa al di là delle attività di accudimento. In vista dell’inevitabile progredire della malattia del marito e della sua futura scomparsa, aver conservato alcune parti di sé sarà fondamentale quando dovrà necessariamente abbandonare il ruolo di “caregiver” nel quale si è identificata negli ultimi anni.
La psicologa ha deciso di portare il caso di Giorgia all’attenzione dei colleghi a causa delle difficoltà che sta sperimentando ultimamente nel proseguire il percorso con la paziente. Sebbene tra le due si sia creata una forte alleanza terapeutica (ossia la condivisione di obiettivi, la definizione di compiti reciproci e il legame affettivo che si costituisce tra paziente e psicologo), la loro relazione sta vivendo un momento di stallo. Da una parte, infatti, Giorgia non riesce a dare un’emotività alle cose e agli eventi (non risponde al “come stai?”), cerca di riversare all’esterno le difficoltà emotive che sta vivendo, lamenta confusione e difficoltà nel prendere decisioni; dall’altra la storia di Giorgia ha attivato nel professionista propri vissuti interiori e personali (controtransfert), oltre ad un sentimento di rabbia per il suo comportamento.
Proprio il controtransfert è stato un argomento ampiamente discusso durante l’incontro di intervisione. Esponenti dell’orientamento psicodinamico e della psicologia della Gestalt hanno infatti invitato a riflettere sulle sensazioni esperite dalla psicologa durante le ultime sedute e a chiederle “Tu come ci stai?” rispetto ai comportamenti della paziente. Un’altra interessante riflessione è emersa rispetto al “bisogno” di sbloccare questa situazione di stallo in quanto non si accorda con la sua “tendenza alla fretta”.
Durante la discussione del caso, le psicoterapeute di orientamento psicodinamico presenti all’incontro hanno chiesto maggiori informazioni sia sulla storia familiare di Giorgia, sia sulla sua relazione con Marco (prima della malattia). L’essenza della Psicoterapia Psicodinamica, infatti, consiste nell’esplorazione dei diversi aspetti del Sé che non sono completamente conosciuti, e delle influenze che ne derivano in special modo nelle relazioni attuali e negli eventuali sintomi psicopatologici.
Spostare il focus sulla storia familiare di Giorgia ha fatto emergere come la sua vita sia stata segnata, in passato, anche dalla malattia del padre e dalla scoperta di una relazione extra-coniugale che la madre ha portato avanti per anni all’insaputa di tutti. In questa relazione la madre ha trovato uno spazio per se stessa come donna e la forza per sopportare l’impegno del caregiving del marito.
Durante lo scambio di opinioni tra i vari psicologi presenti all’incontro, sono emersi altri spunti di riflessione interessanti come il fatto che Giorgia non riesca ad accettare (e sopportare) il cambiamento radicale della sua vita nel “qui ed ora”, piuttosto che essere spaventata all’idea di perdere il marito in un prossimo futuro. Si parla di “lutto anticipatorio” quando la minaccia di morte è già presente e si devono elaborare una serie di perdite immediate che riguardano l’integrità del corpo, il ruolo all’interno della famiglia e nella società, così come tutto ciò che caratterizzava la quotidianità prima dell’insorgenza della malattia. Questo tipo di esperienza vale, ovviamente, sia per la persona direttamente interessata sia per i suoi cari e richiede giorno per giorno l’accettazione dell’adattamento progressivo alla malattia.
A questa situazione già delicata si aggiunge il fatto che Marco è diventato ormai consapevole della progressività della sua condizione, pertanto sta cercando di lavorare, con il suo terapeuta, sul “distacco” e vorrebbe essere “lasciato in pace”.
Infine, è stata posta l’attenzione sulla necessità di presa in carico dell’intero sistema familiare per rispondere ai bisogni emotivi di tutti e garantire l’assistenza necessaria anche nelle fasi successive della malattia.
A conclusione di questo resoconto sull’incontro tenutosi presso il centro Klinikos vorrei sottolineare come i gruppi di intervisione multi-approccio rappresentino un’interessante opportunità di scambio professionale, formazione ed efficace integrazione tra professionisti della salute mentale, oltre ad essere un’occasione per fare rete condividendo conoscenze, sapere ed esperienze.
Giulia Funghi