Il ruolo dello Psicologo nel Processo Penale

Nell’ambito dei procedimenti penali il lavoro peritale dello psicologo può essere ricondotto alla valutazione dello stato di mente di distinti soggetti processuali: l’indagato, l’imputato, il condannato, il prosciolto e il testimone (Lanza, 2001).

L’indagato è la persona sottoposta alle indagini preliminari da parte del PM e che in questa veste viene iscritta nel Registro delle notizie di reato. In altri termini, a seguito della notizia di reato e dopo l’individuazione del soggetto al quale il fatto è riconducibile, il procuratore della repubblica avvia un’indagine per raccogliere le fonti di prova che consentano di sostenere l’accusa in giudizio o che possano escludere il coinvolgimento dell’indagato nel fatto.

Assume la qualità di imputato la persona alla quale è attribuito il reato nella richiesta di rinvio a giudizio, o, più in generale, diventa tale l’indagato a seguito di esercizio dell’azione penale.

Viene definito, tecnicamente, condannato colui che è colpito da sentenza o da decreto penale di condanna irrevocabili e nei confronti del quale viene comminata una pena.

Si considera, poi, prosciolto il soggetto che, pur avendo commesso un fatto ritenuto dalla legge un reato, sia stato ritenuto incapace di intendere e di volere, ma che, attesa la sua pericolosità, sia destinatario di una misura di sicurezza.

Infine, è testimone l’estraneo al fatto che sia in grado di riferire circostanze utili ai fini della decisione.

Al fianco della definizione dei soggetti processuali vanno ulteriormente premessi i concetti di responsabilità penale e di imputabilità.

Il soggetto è penalmente responsabile quando viene dimostrata una causalità materiale e psichica tra il suo comportamento e le conseguenze di danno o di pericolo che ne siano derivate.

In questo senso, dunque, la responsabilità penale è il criterio in forza del quale un soggetto è chiamato a rispondere di un determinato fatto penalmente sanzionato.

L’imputabilità è il presupposto della responsabilità penale e consiste nella capacità, richiesta dalla legge penale, di rispondere per la commissione di un fatto previsto dalla legge come reato.

Questa capacità è esclusa nei minori di 14 anni, mentre va pregiudizialmente accertata dal giudice, caso per caso, nei minori di 18 anni. Ovviamente, tali valutazioni vanno cronologicamente riferite al momento in cui il minore ha commesso il reato.

La giurisprudenza ha poi stabilito che la capacità di intendere e di volere non ha carattere astratto, ma deve essere accertata attraverso l’esame concreto del caso da parte del giudice, il quale può a tal fine utilizzare ogni mezzo a sua disposizione.

 

Perizie sulla Personalità dell’Imputato

Nel nostro ordinamento vige il principio secondo il quale non è consentito effettuare perizie sul carattere e sulla personalità dell’imputato e in genere sulle qualità psichiche indipendenti da cause patologiche.

Le ragioni di tale divieto nella fase di cognizione vanno ricondotte all’incertezza e allo scetticismo che in genere sono sempre stati manifestati dal legislatore sulle osservazioni, anche scientifiche, in ordine alla personalità della persona (lo stesso divieto veniva posto dall’art. 314 del codice di procedura penale del 1930), ma soprattutto per l’innegabile rischio dell’effetto sfavorevole che può esercitare sull’accertamento della colpevolezza il risultato dell’indagine di personalità. Infatti, ove da un’indagine peritale emergesse un quadro di personalità negativo per l’imputato, questo potrebbe assumere valenza di movente del reato e quindi costituire motivo di convincimento (Pannain e Albino, 1989).

Fa comunque eccezione a questo divieto, valido per la fase cognitiva del processo, la fase di esecuzione della pena o della misura di sicurezza, momento rivolto a una valutazione degli effetti delle conseguenze penali sul condannato.

Ovviamente, tale divieto non si estende al testimone, che, come si vedrà, può essere sottoposto a una rigorosa indagine positiva sulla sua credibilità attraverso una verifica personologica. L’unico limite, in tal caso, è costituito dalla regola generale di cui all’art. 188 c.p.p., che vieta l’uso di metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti, disconoscendo, peraltro, ogni valore scriminante all’eventuale consenso dell’interessato (Di Chiara, 2000).

Nel caso di imputati minorenni, invece, l’indagine della personalità diventa un accertamento obbligatorio, la cui omissione può valere a integrare un vizio di ordine procedurale.

Il PM e il giudice, infatti, possono assumere il parere di esperti al fine di acquisire elementi circa le condizioni personali, sociali e ambientali del minore, onde accertare il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto e disporre adeguate misure penali. Difatti, è la diversa finalità del processo minorile, tutto rivolto al recupero e all’educazione del minore, a fare la differenza rispetto al processo ordinario (Forza et al., 2001).

 

L’Imputabilità

Con riferimento all’art. 85 c.p., nel quale viene definita la nozione di imputabilità, prima l’indagato e poi l’imputato possono essere sottoposti ad accertamento sulle condizioni di «infermità» al momento del fatto.

In questi casi il perito dovrà riferire se in quel momento sussistevano le condizioni patologiche e in quale misura queste abbiano inciso sullo stato di mente del soggetto.

Il nostro codice penale configura l’imputabilità come costruzione su due livelli, il cui primo piano è relativo al substrato patologico (infermità), mentre il secondo è relativo all’eventuale e conseguente incapacità di intendere e di volere.

Dunque, l’accertamento viene effettuato in due momenti: una fase descrittiva (diagnostica), in cui si descriverà l’aspetto psicopatologico, e una fase valutativa, in cui si riferirà sull’incidenza dell’eventuale patologia sulla capacità di intendere e di volere.

La capacità di intendere, dunque, va definita come quella serie di abilità che mettono la persona in grado di rendersi conto del valore sociale dell’atto che essa intende compiere, di prefigurarsene le conseguenze, di stabilire gli effetti e i mezzi per produrle. In altri termini, la capacità di intendere si esprime quale complesso armonico di condizioni psichiche che rende l’individuo capace di superare le difficoltà, in situazioni già sperimentate o in situazioni nuove. L’intendere, quindi, comporta un uso efficace dei processi di conoscenza e del principio di realtà.

La capacità di volere è invece l’attitudine della persona a determinarsi in modo autonomo, selezionando le spinte ad agire o non-agire, nel rispetto della propria precedente esperienza nonché dei valori della cultura di appartenenza, e delle esigenze di razionalità e logicità tra mezzi e fini.

Se dunque la capacità di intendere può definirsi un “pensare ordinato” e la capacità di volere può esprimersi in un “determinarsi nelle azioni in modo socialmente adeguato e accettato”, va subito osservato che l’infermità di mente, capace di aggredire e alterare siffatte attitudini della persona, deve comportare, per giungere alla soglia di disturbo permanente rilevante, un vero e proprio processo patologico; un processo idoneo a interferire nelle dinamiche di conoscenza e volontà, con conseguente esclusione, o grande compromissione, delle capacità di intendere e/o di volere.

In conclusione, l’infermità mentale, sul piano giuridico, pure se esprime un concetto più ampio di quello di malattia di mente, deve tuttavia dipendere da una causa patologica, anche se non necessariamente inquadrabile nelle figure tipiche della nosografia clinica, tuttavia pur sempre tale da alterare i processi intellettivi e volitivi.

 

La pericolosità sociale

L’accertamento dell’infermità mentale evoca l’ulteriore concetto di pericolosità sociale, che, come si è già accennato, costituisce il presupposto di carattere soggettivo per l’applicazione di una misura di sicurezza. Essa non può essere confusa con la pericolosità valutata esclusivamente sul piano psichiatrico in correlazione alla natura e all’evoluzione dello stato patologico del soggetto; ne consegue che la sua valutazione è compito specifico ed esclusivo del giudice, il quale non può abdicarvi in favore di altri soggetti né rinunciarvi, pur dovendo tenere conto dei dati relativi alle condizioni mentali dell’imputato e alle implicazioni comportamentali, eventualmente indicati dal perito.

Nella sua attività di supporto al giudice, il perito dovrà fornire attendibili valutazioni prognostiche sul comportamento dell’infermo di mente, anche se le ricerche empiriche hanno dimostrato che i pareri psichiatrici sono connotati da ampi spazi di incertezza. Fornari (1989), sulla base dei dati attualmente disponibili, sostiene che:

  • La patologia di mente è percentualmente poco rappresentata tra gli autori di reato; per lo meno, i malati di mente non delinquono in misura superiore al resto della popolazione;
  • Non esistono rapporti di equivalenza tra malattia mentale e pericolosità sociale;
  • Gli strumenti clinici finora utilizzati per predire il comportamento del malato di mente autore di reato si sono rivelati imprecisi e inadeguati;
  • Il perito, specie in casi di delitti efferati e gravi che suscitano un’intensa riprovazione, deve affrontare, oltre al compito clinico e valutativo, il problema della richiesta di retribuzione da parte del contesto giudiziario e sociale. Può così rischiare di allearsi e identificarsi più o meno consapevolmente, con chi deve giudicare e reprimere;
  • Spesso viene sottovalutato o ignorato l’aspetto dinamico-evolutivo della patologia mentale, per privilegiarne caratteristiche di staticità e di permanenza;
  • Troppo poco si tiene conto delle modificazioni cui può andare incontro il quadro psico-patologico, se sullo stesso si interviene tempestivamente con tecniche adeguate.

 

La Capacità di Partecipare Coscientemente al Processo

Anche sul piano processuale il legislatore ha previsto la possibilità di accertamento della capacità dell’indagato o dell’imputato di partecipare coscientemente alle diversi fasi del processo.

Ovviamente, tale verifica costituisce un presupposto per l’esercizio del diritto di difesa e si rende necessaria in tutti quei casi in cui vi sia sospetto di una patologia mentale tale da influire sulle capacità dell’imputato di comprendere le accuse che gli vengono mosse e di opporre i necessari mezzi a sua discolpa.

In altri termini, si tratta di accertare se nell’imminenza del processo vi sia una condizione di infermità di mente, originaria o sopravvenuta, per la quale l’imputato non sia in grado di interagire validamente con i diversi protagonisti del processo e momenti della scena processuale.

In molti casi tali quesiti vengono posti nell’ambito di una perizia psichiatrica in tema di imputabilità e di pericolosità sociale.

Ed è proprio nella prospettiva di esercitare validamente la propria difesa che il perito dovrà valutare le risorse mnestiche, intellettive, logiche e critiche dell’infermo di mente con riferimento alle caratteristiche e alla complessità dei fatti per i quali si procede.

 

La Perizia Sui Testimoni

Il codice di procedura penale prevede la possibilità che il testimone venga sottoposto a una valutazione delle sue capacità di rendere testimonianza. In questi casi la perizia viene limitata alla verifica, con riguardo al teste, delle seguenti circostanze:

  • Livello di sviluppo o grado in concreto raggiunto e rilevabile di capacità percettiva sensoriale;
  • Assenza di turbe organiche che possano alterare o compromettere i processi di rilievo della realtà, e della successiva organizzazione e immagazzinamento dei dati in memoria; o i processi successivi di recupero degli engrammi e la capacità di riferire a terzi, in modo conforme al dato correttamente percepito e adeguatamente archiviato;
  • Livello di capacità critica e di giudizio, nonché di rievocazione mnestica anche in relazione allo specifico fatto-storico o all’evento sul quale il teste sarà esaminato (variabili in relazione alla semplicità o alla complessità dell’avvenimento percepito e da riferire al giudice).

Il testimone, peraltro, costituisce un genus con pluralità di specie. È evidente, infatti, che assumeranno un diverso valore le dichiarazioni rese rispettivamente da:

  • Teste estraneo ai fatti;
  • Teste di fatti che hanno determinato danno diretto allo stesso dichiarante;
  • Teste su fatti che hanno prodotto allo stesso un danno per il quale vi sia stata costituzione di parte civile, così diventando il teste stesso “soggetto processuale” (assieme al giudice, al PM, all’imputato, al responsabile civile e al civilmente obbligato per la pena pecuniaria).

Ovviamente, tale indagine dovrà essere ancora più puntuale e severa nel caso che le dichiarazioni accusatorie siano formulate dai testi minori di età, e in questo caso il giudice deve sottoporre dette accuse a una scrupolosa verifica. Tale verifica deve porsi l’obiettivo di escludere tre possibili sviluppi di realtà frutto dell’incompleta maturità (talora anche sensoriale e percettiva) del minore:

  • L’autosuggestione;
  • La fantasia e l’esaltazione;
  • L’eterosuggestione o la manipolazione a opera di terzi.

Ecco perché le dichiarazioni accusatorie del teste minore (tanto più se parte offesa, e tanto più ancora se vittima dell’attenzione sessuale di un familiare) vanno inizialmente considerate «ipotesi e progetti di verità».

Non, quindi, punti incontrovertibili di arrivo, bensì «realtà in fieri», bisognose di ulteriori riscontri e verifiche (De Cataldo Neuburger, 2005).

Questo tipo di perizia ha una valenza più psicologica che psichiatrica, tenuto conto delle possibili reazioni del soggetto di fronte all’esperienza della partecipazione al processo e dell’esame e controesame che il minore dovrà sopportare da parte dei magistrati e degli avvocati.

 

Le Perizie nella Fase Esecutiva e Cautelare

Una particolare forma di perizia è quella disposta dal giudice al fine di accertare le qualità personali dell’imputato sottoposto a custodia cautelare in carcere.

I risultati di questi accertamenti hanno grande importanza per il giudice e per lo stesso detenuto in quanto da essi deriva non solo l’alternativa fra la carcerazione e l’inserimento in una struttura terapeutica, ma anche una possibile alternativa fra trattamento nel servizio sanitario nazionale o trattamento in ospedale psichiatrico (in caso di accertata pericolosità sociale).

Per i condannati a una pena definitiva ma non pericolosi è possibile l’applicazione di un provvedimento d’inserimento in «detenzione domiciliare», nel caso in cui si tratti di «persone in condizioni di salute particolarmente gravi» che richiedono costanti contatti con i presìdi sanitari territoriali e che devono scontare una pena non superiore ai tre anni.

Vi è anche la possibilità di rinvio, differimento o sospensione dell’esecuzione della pena, come previsto dal codice penale.

Consulenze tecniche su questi temi sono abbastanza rare, mentre è abituale che gli psicologi e gli psichiatri forensi partecipino direttamente alle decisioni dei Tribunali di Sorveglianza, in qualità di componenti esperti del collegio giudicante.

 

La Circonvenzione d’Incapace

Una perizia abbastanza frequente nella casistica giudiziaria è quella che viene disposta nei casi di circonvenzione d’incapace.

Il legislatore ha ritenuto di tutelare alcuni soggetti in considerazione della loro particolare vulnerabilità rispetto all’azione di abuso che può essere esercitata da terzi nei loro confronti.

Questo tipo di reato sussiste in rapporto al verificarsi di due distinti elementi: il primo riguarda la vittima (minore di età, condizioni di infermità o di deficienza psichica tali da diminuire le sue capacità di comprensione e la sua volontà); il secondo interessa invece la relazione tra la vittima e l’autore del reato.

In questi casi al perito è richiesto di accertare la sussistenza di un’infermità o deficienza psichica della vittima al momento in cui si è verificato il fatto, e, in caso positivo, di esprimersi anche sul fatto che questa infermità o deficienza psichica fossero facilmente, o meno, riconoscibili da terzi, in quanto il responsabile, per approfittarsi e abusare di tali condizioni, deve senz’altro essere in grado di riconoscere le stesse.

 

Laura Messina

 

BIBLIOGRAFIA

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